lunedì 27 ottobre 2008

La carica di Izbušenskij del Savoia Cavalleria


La carica di Izbušenskij è un episodio bellico del fronte orientale verificatosi durante la seconda guerra mondiale, che vide protagonista il reggimento italiano Savoia Cavalleria; viene ricordata come l'ultima battaglia moderna nella quale una carica di cavalleria sia stata decisiva.
La carica prende il nome dalla località di Izbušenskij (Избушенский), situata in Russia, presso un'ansa del fiume Don; in realtà nel piccolo villaggio gli italiani non entrarono mai.
A metà agosto 1942 la guerra sul fronte orientale sembrava vinta dalle forze dell'Asse: i tedeschi avanzavano fino a Stalingrado e verso il Caucaso, mentre gli italiani presidiavano l'area del Don. Il raggruppamento truppe a cavallo, costituito da Savoia, dai Lancieri di Novara e dalle Voloire, dopo una marcia estenuante con temperature giunte fino a -47 gradi, si trovava a Gračev, un paese cosacco a sud del Don.
L'offensiva sovietica scattò improvvisamente il 20 agosto: i russi passarono il Don e sfondarono il tratto di fronte tenuto dalla Divisione Sforzesca. Il raggruppamento truppe a cavallo ricevette l’ordine di contenere l’avanzata nemica: in quei giorni i due reggimenti e le batterie a cavallo caricarono a più riprese a livello di squadrone. Successivamente la cavalleria italiana avviava una manovra avvolgente in direzione del Don.
Alle prime luci dell'alba del 24 agosto 1942 il Savoia Cavalleria (700 cavalieri), che aveva passato la notte in mezzo alla steppa in quadrato protetto dai cannoni delle Voloire, le batterie a cavallo, si preparava a riprendere la marcia verso un anonimo punto trigonometrico verso le sponde del Don, la quota 213,5.
Durante la notte tre battaglioni di truppe siberiane (circa 2 500 soldati) si erano portati a circa un chilometro dall’accampamento e si erano trincerati in buche, fra i girasoli, formando un ampio semi-cerchio, da nord-ovest a nord-est. Attendevano l’alba per far scattare la trappola mortale. Prima di togliere il campo, però, veniva mandata in avanscoperta una pattuglia a cavallo comandata dal sergente Ernesto Comolli. Doveva controllare, in particolare, un carro di fieno intravisto la sera precedente. Alle 3:30 la pattuglia partiva al piccolo trotto. Fu quasi per caso che un componente della pattuglia, il caporalmaggiore Aristide Bottini, notò, nell’incerta prima luce dell’alba, qualcosa che luccicava fra i girasoli. Era un elmetto russo, con la caratteristica stella rossa al centro. In un primo tempo scambiato per un tedesco. Partiva, quindi, il primo colpo di moschetto che centrava il sovietico e scatenava un rabbioso fuoco di reazione. Venivano contate sessanta mitragliatrici oltre a mortai ed artiglieria leggera. Una vera e propria pioggia di fuoco si abbatteva sul quadrato del reggimento che si apprestava a ripartire, ormai quasi circondato. Ma la sorpresa durò soltanto un momento.
Venne dispiegato lo stendardo ed il comandante, il colonnello Alessandro Bettoni Cazzago, con una serie di decisioni prese in base all’esame della situazione, andava a disegnare una delle pagine più gloriose e coraggiose della cavalleria di tutti i tempi. I pezzi, vecchi ma ben diretti, delle Voloire ed i cannoncini anti-carro avevano iniziato a rispondere al fuoco russo con precisione, ma c’era bisogno di un diversivo. Ordinava, quindi, al secondo squadrone, comandato dal capitano Francesco Saverio De Leone, di caricare a fondo i sovietici sul fianco. In realtà, secondo le testimonianze, sembra che in un primo momento volesse caricare con tutto il reggimento, con lo stendardo al vento, ma venisse convinto dal proprio aiutante maggiore Pietro de Vito Piscicelli di Collesano a dosare le forze in ragione dell’evolversi della situazione. Il secondo Squadrone, dopo aver effettuato un’ampia conversione, caricava a ranghi serrati a sciabolate, raffiche di mitragliatrice e bombe a mano: i sovietici venivano colti di sorpresa, molti fuggivano, altri cercavano riparo nelle buche, soltanto alcuni cercavano una coriacea resistenza. Diversi cavalli e cavalieri erano colpiti, ma lo squadrone ritornava alla carica a fronte inverso.
In quel momento il comando del Reggimento inviava il quarto squadrone appiedato, comandato dal capitano Silvano Abba, in un attacco frontale per alleggerire l’impegno del secondo Squadrone.
I russi, in buona parte, si sbandavano, ma comunque ancora tenevano il terreno e provocavano sensibili perdite fra le file dei cavalieri italiani. Veniva, allora, ordinata la carica anche del terzo squadrone a cavallo, comandato dal capitano Francesco Marchio. Lo squadrone irrompeva sul campo di battaglia nel mezzo del fronte sovietico, che intensificava la reazione. Secondo le testimonianze, i cavalli galoppavano furiosamente, talvolta pur feriti, mentre i cavalieri sciabolavano e sparavano coraggiosamente in mezzo ai russi in evidente difficoltà.
Con alcune ulteriori cariche la resistenza dei sovietici cessava, nonostante il soverchiante numero dei mezzi bellici e dei soldati, sconvolti e terrorizzati dall’improvvisa e violenta reazione della cavalleria italiana. Il bilancio delle perdite, pur doloroso, fu contenuto, da un punto di vista militare: 32 cavalieri morti (dei quali 3 ufficiali) e 52 feriti (dei quali 5 ufficiali), un centinaio di cavalli fuori combattimento.
I sovietici lasciano sul campo 250 morti e 300 prigionieri, oltre ad una cospicua mole di armi (decine di mitragliatrici e mortai, svariate centinaia di fucili e mitra).
L’azione, coraggiosa quanto audace, aveva portato, soprattutto, all’allentamento della pressione dell’offensiva russa sul fronte del Don ed aveva consentito il riordino delle posizioni italiane, salvando migliaia di soldati dall’accerchiamento. Il reggimento ebbe la medaglia d’oro allo stendardo, furono concesse due medaglie d’oro alla memoria, due ordini militari di Savoia, 54 medaglie d’argento, 50 medaglie di bronzo, 49 croci di guerra, diverse promozioni per merito di guerra sul campo. La carica di Izbušenskij ebbe subito una vasta eco, destando ammirazione anche fra i tedeschi alleati (mai generosi nel riconoscere i meriti italiani) ed i nemici sovietici.
In Italia suscitò vero e proprio entusiasmo, con articoli sulla stampa ed ampie cronache nei cinegiornali Luce. Ciò, comunque, non impedì la successiva, lenta, ritirata verso le posizioni di partenza, incalzati da un nemico decisamente più forte ed imponente per uomini e mezzi. Nel 1943 il reggimento rientrava in Italia e veniva sciolto a Milano dopo le tragiche giornate conseguenti all’armistizio dell’8 settembre 1943.
Nel dopoguerra veniva ricostituito nel 1946 quale Gruppo esplorante terzo cavalieri, quasi per cancellare qualsiasi riferimento alla dinastìa sabauda. Nel 1948 diveniva Gruppo Cavalleria blindata Gorizia Cavalleria. Il 4 novembre 1958 riassumeva la tradizionale denominazione di Savoia Cavalleria e, esattamente tre anni dopo, riprendeva in uso la cravatta rossa. Nel 1975 veniva contratto in Gruppo squadroni Savoia Cavalleria e, infine, il 23 maggio 1992, diveniva nuovamente Reggimento Savoia Cavalleria, sua attuale denominazione. È attualmente di stanza a Grosseto.

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