mercoledì 5 novembre 2008

Anche i murgesi dell'Istituto di Incremento Ippico di Foggia alla Fiera Cavalli di Verona


L’ IRIIP (Istituto Incremento Ippico di Foggia) sarà presente, come ogni anno, con i suoi magnifici stalloni di razza autoctona “Murgese” e “Asino di Martina Franca” per partecipare alla 110° edizione di Fieracavalli-Verona aperta dal 6 al 10 novembre, importantissimo appuntamento fieristico di livello internazionale.
L’IRIIP Foggia occuperà il padiglione n.9 con uno stand informativo e parteciperà con due stalloni murgesi e con uno stallone asinino, soggetti tra i più rappresentativi presentati dal qualificato personale dell’Istituto ippico foggiano. Gli stalloni (vanto dell’intera Puglia), partiti da Foggia per essere ammirati alla Fieracavalli-Verona sono:
- TERNO DEI MONTI, razza murgese, morello, nato nel 2003 da Nume e Normanna;
- VIRGO, razza murgese, morello, nato nel 2005, da Paisiello e Quielà;
- ROMEO, asino di Martina Franca, nato nel 2001, da Nylon ed Edda.
A Verona, la Regione Puglia, tramite l’IRIIP-Foggia, con apposita “Commissione Acquisto Stalloni” composta dai tecnici-valutatori dott. Antonio Ursitti, dott. Filippo Nico e Raffaele Iliceto, acquisterà due pregiati stalloni di razza “Agricola italiana” (TPR) per soddisfare le pressanti richieste degli allevatori pugliesi. Altri acquisti di pregiati stalloni murgesi, sempre per il Deposito Cavalli Stalloni di Foggia (IRIIP), sono previsti in occasione della prossima Fiera Mercato di Martina Franca che si terrà nei primi giorni di dicembre.
E’ utile sapere che il settore equestre è in continuo sviluppo (ogni anno Fieracavalli batte il suo precedente record di presenze espositori e visitatori, questi ultimi arrivati nell’ultima edizione addirittura a 160.000 ). Il settore è così fortemente in crescita da reggere la grave crisi economica che sta travolgendo quasi tutti. Dall’analisi risulta che la forte spinta verso il meraviglioso mondo del cavallo non viene dalle tradizionali discipline sportive in cui vive la competizione come ad esempio il Salto Ostacoli (che pur si difende…), ma da altre nuove discipline che trovano spazio nel sociale, nel terapeutico, nel tempo-libero e nel turismo, in primis la cosidetta “Equitazione di campagna”, dove i costi per il mantenimento di un cavallo e il suo utilizzo per l’equitazione, si abbassano notevolmente con la possibilità per tutti (finalmente) di poter vivere con gioia il cavallo, in compagnia e nella natura. Un’equitazione rurale in cui la gente va a rifugiarsi per scaricarsi e gustare in pieno le meraviglie della natura
appena ha il tempo di poterlo fare. In questi nuovi e trainanti settori equestri, il nostro cavallo autoctono Murgese risulta il migliore ed è fortemente ricercato ed utilizzato grazie alle sue eccezionali caratteristiche (bellezza, generosità, zoccolo duro, piede sicuro, intelligenza, affidabilità, rusticità e tant’altro…) tanto che la domanda supera l’offerta. Pertanto, per soddisfare questa notevole richiesta, è necessario e saggio rilanciare l’Istituto Incremento Ippico di Foggia (storica sede ufficiale del cavallo Murgese e dell’Asino di Martina Franca) per potenziare ed assicurare, agli allevatori pugliesi e ai tanti che operano nel settore ippico, quei servizi vitali e di eccellenza tecnico/amministrativi, di ricerca e di propaganda utili per cogliere in pieno questa ghiotta e redditizia occasione di mercato che altre Regioni più avvedute (ma meno attrezzate di storia, strutture e cavalli) già da tempo hanno colto e continuano ad operare con notevoli ritorni di sviluppo, ricchezza ed occupazione in tutti quei settori predetti.

sabato 1 novembre 2008

Successi per l'equitazione foggiana al concorso ippico di Venosa

Ancora successi per i cavalieri e le amazzoni del Club Ippico Equestria di Foggia che hanno brillato lo scorso fine settimana nella terza edizione del Concorso Ippico Nazionale dell’Amicizia ed Integrazione che si è svolto a Venosa, in provincia di Potenza. Un concorso ippico che si è tenuto all’interno del centro di riabilitazione dei Padre Trinitari e a cui hanno preso parte anche alcuni ragazzi portatori di handicap, a dimostrazione dell’importante sintonia che lega questi sfortunati ragazzi e il cavallo.
Importante successo per Rita Fontanella, che con il suo Quanu della Colombaia, ha vinto le gare C125 e C130 con ostacoli alti rispettivamente alti un metro e venticinque e un metro e trenta. stesso importante successo per la giovanissima Maria Saveria Lensi, che in sella a Baguette, ha vinto la combinata B110 con ostacoli di un metro e dieci. Buone anche le prestazioni di altri cavalieri e amazzoni foggiani del Club Ippico Equestria di Foggia come le sorelle Maria Antonietta e Maria Paola Lensi, Gisella Di Stasio e i piccoli Nicolò Bruno e Diana Pia Piacenza. Al termine del concorso gli organizzatori hanno anche premiato Matteo Piancone, uno dei due istruttori del Club Ippico Equestria di Foggia, per i successi ottenuti dai giovani cavalieri e amazzoni alla manifestazione di Venosa.

lunedì 27 ottobre 2008

Il Murgese: un cavallo "dimenticato"


E' senza dubbio il più tipico rappresentante delle razze mesomorfe ed il migliore susperstite della rinomata produzione italiana ed è il risultato d'intelligenti incroci tra frattrici autoctone,note all'epoca romana, e stalloni andalusi ed orientali importati dai migliori centri d'allevamento di Spagna ed Arabia. Sicuramente alla formazione della razza contribuì anche il sangue degli stalloni Corsiero Napolitani ed in minima parte di stalloni "portanti" largamente impiegati nel Regno di Napoli. Sino al 1800 - inizio '900, la razza, diffusa soprattutto nell'area delle Murge ed in parte lungo l'arco Jonico, veniva impiegata prevalentemente per la produzione mulattiera, oltre che in servizi agricoli. In questo periodo si presentava sotto due tipi: il primo alto circa mt. 1,60, solido e pesante che richiamava alcuni caratteri del Berbero-Andaluso; il secondo, di mole più ridotta - mt. 1,50 di altezza, ma con circonferenza ampia e stinchi apparentemente esili - ricordava gran parte la costituzione del cavallo d'Asia ed Arabo. Iniziò allora un attento lavoro di selezione finalizzato a fissare stabilmente alcuni caratteri morfologici e funzionali come il mantello morello semplice, struttura solida e robusta con diametri trasversali ampi, carattere forte. Lavoro che nel giro di pochi anni grazie soprattutto all'egida dell'allora Deposito stalloni di Foggia si giunse alla produzione di soggetti dotati di buoni diametri, tronco profondo e vicino a terra, arti brevi con pastorale corta. D'altro canto la società rurale e le mire del Regime di allora, esigevano quel tipo di cavallo da impiegare nei servizi agricoli e militari direttamente o attraverso la produzione mulattiera utilizzando la razza asinina di Martina Franca. Intorno agli anni novanta fu dato corso ad un miglioramento e selzione, basato su criteri diversi rispetto a quelli dei decenni precedenti. Siamo all'inizio di un moderno ed impegnativo percorso tecnico e culturale dell'ippicoltura meridionale che ha come meta quella di elevare il cavallo Murgese a razza nazionale con un proprio "Libro Genealogico" in luogo del Registro Anagrafico e non solo. Si parte dalla razze intesa come popolazione costituita da individui che presentano un complesso di caratteri morfologici , funzionali e fisiologici simili e trasmissibili. Un lavoro appassionante ed incoraggiante intrapeso col contributo tecnico dell'Istituto Incremento Ippico di Foggia, ma soprattutto con l'apporto di idee e di lavoro degli allevatori piccoli e grandi (Massari) e dei giovani amatoriali che ha come presupposto tecnico-scientifico quelo che la razza del Murgese, come tutte le altre razze, non è un'entità statica, ma un processo in continua evoluzione, il cui miglioramento va finalizzato a precisi obiettivi. D'altronde il lungo percosro compiaciuto ed i risultati conseguiti nel corso di un secolo di slezione, sono la tangibile dimostrazione della intrinseca flessibilità del cavallo Murgese a rispondere alle esigenze dei tempi senza cancellare o sminuire i risultati della plasmazione della natura attraverso mezzo millennio. Ed ecco che il nobile cavallo delle Murge si presenta distinto ed imponente al tempo stesso, armonioso nelle forme come gli antenati andalusi, vivace come il Berbero Africano come l'Arabo o il Cavallo d'Asia, con il carattere forte, ma pieghevole, sincero e determinato come i Corsieri Napoletani, resistente alle fatiche, al freddo, alle aride stagioni, ai luoghi impervi come i lontani genitori dell'Epoca Romana. Sembra essere la felice sintesi fra la selezione naturale e quella programmata dall'uomo estrinsecantesi, fra l'altro, in rusticità, fondo e resitenza alle malattie. Pur tuttavia è necessario andare avanti nel miglioramento genetico perchè ciò che è essenziale per la razza "non è solo il suo stato in atto, ma il suo divenire". Certo, non è facile abbandonare vecchie concezioni e superati criteri di selezione, ma scrutare nuovi orizzonti, è possibile per andare ancora avanti nel miglioramento di medio e lungo periodo, ipotizzando alcune modichiche allo standard di razza, partendo dall'idea di potenziare e verificare le capacità attidudinali e la versatilità di impiego nel settore sportivo, dello spettacolo, dell'ippoterapia e di alcuni servizi di utilità pubblica, anche attraverso la selezione alle attitudini. In quest'ottica diviene impororgabile la scelta di dare inizio ad un nuovo indirizzo allevatoriale basato sul binomio tecninco-commerciale "produzione-prodotto finito" con il contributo che una nuova e moderna associazione della razza del cavallo delle Murge una vera Associazione Nazionale delle Murge giuridicamente riconosciuta e autorevolmente operante sull'intero territorio nazionale e pariteticamente rappresentate dalle associazioni periferiche e regionali. Altre vie ci sembrano senza sbocco e tortuose per gli allevatori e le comuntà interessate a proiettare il nobile equino nel terzo millennio come razza che porta con se il meglio di un tempo che fu e i pregi del divenire. Si può ben dire quindi che nel corso di tanti anni è stato fatto tanto lavoro, per elevare la razza, così come si può dire con un pò di orgoglio, che gli allevatori e gli appassionati del Murgese hanno saputo confrontarsi con le tendeneze dell'ippicoltura Nazionale riscuotendo successi incoraggianti. Ma all'inizio del terzo millennio con lo stesso orgoglio, e soprattutto con il rinnovato impegno, occorre guardare più in là dei confini territoriali e misurarsi con le tendenze europee ed internazionali attraverso un "Progetto Nazionale del Cavallo delle Murge" per la cui realizzazione necessita il contributo unitario ed univoco degli allevatori , delle Istituzioni cenrtali e periferiche, delle strutture Associative e del mondo scientifico e culturale.
Prof. Francesco Mario Malvasi

Stefano Brecciaroli campione italiano completo 2008


Si sono conclusi a Cascina Bornago di Cameri i Campionati Italiani di completo senior e young rider, svoltisi rispettivamente su un CIC3* e CIC2*.Il podio del massimo campionato nazionale ha salutato il ritorno sul gradino alto del podio di Stefano Brecciaroli che in sella a Cappa Hill ha conquistato l'oro con 55,50 punti negativi. Al suo fianco, con l'argento al collo, un altro gradito ritorno al successo, vale a dire Marco Biasia con Gandafl the Grey (57,60). La medaglia di bronzo è andata a Lisa Deghè che con Dekalog ha chiuso la propria gara con una penalizzaazione complessiva di 57,80.Nella competizione a due stelle, da cui è stata estrapolata la classifica per il Campionato Young Riders, centro pieno per Federico Riso con il fido Well Measured, medaglia d'oro con 66 punti negativi. Il secondo gradino del podio è andato a Nicolò Argento e Koulag du Logis. Per questo binomio, il computo delle penalità si è fermato a 68,80. Infine, medaglia di bronzo per Serena Appodia e Ondinha (69,20).«Nonostante i dubbi iniziali riguardo a un posizionamento così tardivo nel calendario di gara, entrambi i Campionati si sono svolti nel migliore dei modi», ha commentato il cittì azzurro Michele Betti al termine delle prove.«Tra i seniores è stato premiato un binomio - Cappa Hill e Brecciaroli - che ha avuto un'annata davvero molto intensa, culminata con l'impegno olimpico di Hong Kong. Anche tra gli young riders è emerso un binomio che per continuità nei risultati vanta davvero pochi rivali, accompagnato da due binomi giovani. E questo non può che fare ben sperare per il futuro».

La carica di Izbušenskij del Savoia Cavalleria


La carica di Izbušenskij è un episodio bellico del fronte orientale verificatosi durante la seconda guerra mondiale, che vide protagonista il reggimento italiano Savoia Cavalleria; viene ricordata come l'ultima battaglia moderna nella quale una carica di cavalleria sia stata decisiva.
La carica prende il nome dalla località di Izbušenskij (Избушенский), situata in Russia, presso un'ansa del fiume Don; in realtà nel piccolo villaggio gli italiani non entrarono mai.
A metà agosto 1942 la guerra sul fronte orientale sembrava vinta dalle forze dell'Asse: i tedeschi avanzavano fino a Stalingrado e verso il Caucaso, mentre gli italiani presidiavano l'area del Don. Il raggruppamento truppe a cavallo, costituito da Savoia, dai Lancieri di Novara e dalle Voloire, dopo una marcia estenuante con temperature giunte fino a -47 gradi, si trovava a Gračev, un paese cosacco a sud del Don.
L'offensiva sovietica scattò improvvisamente il 20 agosto: i russi passarono il Don e sfondarono il tratto di fronte tenuto dalla Divisione Sforzesca. Il raggruppamento truppe a cavallo ricevette l’ordine di contenere l’avanzata nemica: in quei giorni i due reggimenti e le batterie a cavallo caricarono a più riprese a livello di squadrone. Successivamente la cavalleria italiana avviava una manovra avvolgente in direzione del Don.
Alle prime luci dell'alba del 24 agosto 1942 il Savoia Cavalleria (700 cavalieri), che aveva passato la notte in mezzo alla steppa in quadrato protetto dai cannoni delle Voloire, le batterie a cavallo, si preparava a riprendere la marcia verso un anonimo punto trigonometrico verso le sponde del Don, la quota 213,5.
Durante la notte tre battaglioni di truppe siberiane (circa 2 500 soldati) si erano portati a circa un chilometro dall’accampamento e si erano trincerati in buche, fra i girasoli, formando un ampio semi-cerchio, da nord-ovest a nord-est. Attendevano l’alba per far scattare la trappola mortale. Prima di togliere il campo, però, veniva mandata in avanscoperta una pattuglia a cavallo comandata dal sergente Ernesto Comolli. Doveva controllare, in particolare, un carro di fieno intravisto la sera precedente. Alle 3:30 la pattuglia partiva al piccolo trotto. Fu quasi per caso che un componente della pattuglia, il caporalmaggiore Aristide Bottini, notò, nell’incerta prima luce dell’alba, qualcosa che luccicava fra i girasoli. Era un elmetto russo, con la caratteristica stella rossa al centro. In un primo tempo scambiato per un tedesco. Partiva, quindi, il primo colpo di moschetto che centrava il sovietico e scatenava un rabbioso fuoco di reazione. Venivano contate sessanta mitragliatrici oltre a mortai ed artiglieria leggera. Una vera e propria pioggia di fuoco si abbatteva sul quadrato del reggimento che si apprestava a ripartire, ormai quasi circondato. Ma la sorpresa durò soltanto un momento.
Venne dispiegato lo stendardo ed il comandante, il colonnello Alessandro Bettoni Cazzago, con una serie di decisioni prese in base all’esame della situazione, andava a disegnare una delle pagine più gloriose e coraggiose della cavalleria di tutti i tempi. I pezzi, vecchi ma ben diretti, delle Voloire ed i cannoncini anti-carro avevano iniziato a rispondere al fuoco russo con precisione, ma c’era bisogno di un diversivo. Ordinava, quindi, al secondo squadrone, comandato dal capitano Francesco Saverio De Leone, di caricare a fondo i sovietici sul fianco. In realtà, secondo le testimonianze, sembra che in un primo momento volesse caricare con tutto il reggimento, con lo stendardo al vento, ma venisse convinto dal proprio aiutante maggiore Pietro de Vito Piscicelli di Collesano a dosare le forze in ragione dell’evolversi della situazione. Il secondo Squadrone, dopo aver effettuato un’ampia conversione, caricava a ranghi serrati a sciabolate, raffiche di mitragliatrice e bombe a mano: i sovietici venivano colti di sorpresa, molti fuggivano, altri cercavano riparo nelle buche, soltanto alcuni cercavano una coriacea resistenza. Diversi cavalli e cavalieri erano colpiti, ma lo squadrone ritornava alla carica a fronte inverso.
In quel momento il comando del Reggimento inviava il quarto squadrone appiedato, comandato dal capitano Silvano Abba, in un attacco frontale per alleggerire l’impegno del secondo Squadrone.
I russi, in buona parte, si sbandavano, ma comunque ancora tenevano il terreno e provocavano sensibili perdite fra le file dei cavalieri italiani. Veniva, allora, ordinata la carica anche del terzo squadrone a cavallo, comandato dal capitano Francesco Marchio. Lo squadrone irrompeva sul campo di battaglia nel mezzo del fronte sovietico, che intensificava la reazione. Secondo le testimonianze, i cavalli galoppavano furiosamente, talvolta pur feriti, mentre i cavalieri sciabolavano e sparavano coraggiosamente in mezzo ai russi in evidente difficoltà.
Con alcune ulteriori cariche la resistenza dei sovietici cessava, nonostante il soverchiante numero dei mezzi bellici e dei soldati, sconvolti e terrorizzati dall’improvvisa e violenta reazione della cavalleria italiana. Il bilancio delle perdite, pur doloroso, fu contenuto, da un punto di vista militare: 32 cavalieri morti (dei quali 3 ufficiali) e 52 feriti (dei quali 5 ufficiali), un centinaio di cavalli fuori combattimento.
I sovietici lasciano sul campo 250 morti e 300 prigionieri, oltre ad una cospicua mole di armi (decine di mitragliatrici e mortai, svariate centinaia di fucili e mitra).
L’azione, coraggiosa quanto audace, aveva portato, soprattutto, all’allentamento della pressione dell’offensiva russa sul fronte del Don ed aveva consentito il riordino delle posizioni italiane, salvando migliaia di soldati dall’accerchiamento. Il reggimento ebbe la medaglia d’oro allo stendardo, furono concesse due medaglie d’oro alla memoria, due ordini militari di Savoia, 54 medaglie d’argento, 50 medaglie di bronzo, 49 croci di guerra, diverse promozioni per merito di guerra sul campo. La carica di Izbušenskij ebbe subito una vasta eco, destando ammirazione anche fra i tedeschi alleati (mai generosi nel riconoscere i meriti italiani) ed i nemici sovietici.
In Italia suscitò vero e proprio entusiasmo, con articoli sulla stampa ed ampie cronache nei cinegiornali Luce. Ciò, comunque, non impedì la successiva, lenta, ritirata verso le posizioni di partenza, incalzati da un nemico decisamente più forte ed imponente per uomini e mezzi. Nel 1943 il reggimento rientrava in Italia e veniva sciolto a Milano dopo le tragiche giornate conseguenti all’armistizio dell’8 settembre 1943.
Nel dopoguerra veniva ricostituito nel 1946 quale Gruppo esplorante terzo cavalieri, quasi per cancellare qualsiasi riferimento alla dinastìa sabauda. Nel 1948 diveniva Gruppo Cavalleria blindata Gorizia Cavalleria. Il 4 novembre 1958 riassumeva la tradizionale denominazione di Savoia Cavalleria e, esattamente tre anni dopo, riprendeva in uso la cravatta rossa. Nel 1975 veniva contratto in Gruppo squadroni Savoia Cavalleria e, infine, il 23 maggio 1992, diveniva nuovamente Reggimento Savoia Cavalleria, sua attuale denominazione. È attualmente di stanza a Grosseto.

Federico Caprilli: Il "padre" del sistema naturale di equitazione


Federico Caprilli nasce a Livorno nel 1868. Apparteneva ad una agiata famiglia borghese toscana. Nel 1881, a soli 13 anni, fu ammesso al Collegio Militare di Firenze in seguito fu trasferito al Collegio Militare di Roma, quindi alla Scuola Militare di Modena, come allievo nell'arma di cavalleria, dopo aver corso il rischio di essere scartato a causa della corporatura: era alto un metro e ottantatré. A Modena strinse grande amicizia con il suo compagno Emanuele Cacherano di Bricherasio. Nell'agosto del 1888 fu nominato Sottotenente nel Reggimento Piemonte Reale Cavalleria e nell'autunno fu comandato a frequentare il corso di equitazione alla Scuola di Cavalleria di Pinerolo.
Dal 1890 cominciò a cogliere i primi successi nelle gare d’equitazione. A quei tempi le gare ippiche in Italia erano molto modeste. Consistevano principalmente in prove di salti in elevazione ed in estensione, eseguite dentro recinti limitati dove le andature non avevano possibilità di svilupparsi. I cavalli erano addestrati con costrizione spesso violenta. Le categorie di concorso consistevano nel superare, sempre nel breve spazio di pochi metri, un muro, una stanga mobile e un fossato. Vi prendevano parte una ventina di cavalieri, al massimo. Nel 1891, in seguito ai suoi successi sportivi, Caprilli fu destinato al Corso magistrale di Pinerolo, dove ebbe come compagno il Tenente Brascorens di Savoiroux. Nell'autunno del 1892, si inaugurò la scuola di Tor di Quinto e Caprilli fu iscritto a frequentare quel corso di equitazione sotto la guida del marchese Luciano di Roccagiovine.
Nell'autunno del 1894, fu destinato come istruttore a Tor di Quinto. L'equitazione che si insegnava allora a Tor di Quinto era diversa da quella odierna, ma tuttavia assai progredita nei confronti di quella insegnata a Pinerolo. Caprilli, acuto osservatore, intuiva che spesso i cavalli si rifiutavano di saltare a causa della sofferenza imposta dal cavaliere. Rientrato a Pinerolo, Caprilli continuò a studiare il comportamento del cavallo al salto. Nell'inverno del 1895, Caprilli era di nuovo istruttore a Tor di Quinto e fu in quell'epoca che affrontò la famosa discesa (volgarmente chiamata "scivolone") che per tanti anni costituì una delle grandi attrattive romane.
Nell'autunno del 1898 il Reggimento si trasferì a Parma, dove Caprilli organizzò il primo campo ostacoli reggimentale sorto in Italia, ed intensificò ancora i suoi studi ed i suoi esperimenti. Mentre Caprilli studiava un nuovo assetto, in America, il grande fantino di corse piane Stod Sloan ideava la monta americana con le ginocchia all'altezza del garrese ed il busto disteso sull'incollatura del cavallo. Ne conseguiva una completa libertà della spina dorsale del cavallo e le mani, vicine alla bocca, favorivano l'appoggio. In realtà Caprilli e Stod Sloan applicarono gli stessi principi (sebbene in proporzioni diverse) e condussero l'equitazione di corse ad ostacoli alla stessa forma.
È in quegli anni che Caprilli divenne veramente un grande istruttore e un caposcuola e fu proprio a Parma che scrisse i primi articoli per esporre i suoi concetti sul nuovo sistema di equitazione. Nel settembre del 1901, Caprilli fu promosso capitano nel Genova Cavalleria e nell'anno successivo, ebbe il comando del secondo squadrone. Nel marzo 1904, dal Reggimento Genova Cavalleria, fu trasferito alla scuola di Pinerolo, chiamato dal generale Berta suo grande sostenitore. Morì il 6 dicembre 1907, non ancora quarantenne dopo una caduta da cavallo

Equitazione: un pò di storia

Indizi storici fanno ritenere che i primi cavalieri siano appartenuti alle tribù nomadi della Russia. Proprio in questa regione si ritiene che sia comparso per la prima volta il cavallo. E’ comunque appurato che i cavalli erano considerati animali superiori presso gli antichi Greci e Romani, ma entrambi i popoli non ebbero tradizioni particolarmente radicate per quel che concerne l’allevamento e la cura dei quadrupedi. Al contrario, i popoli orientali svilupparono sin dal principio un intenso rapporto col cavallo e per primi concepirono un trattato di addestramento. La figura del cavallo, nell’antichità, era indubbiamente di superiore importanza, non foss’altro perché l’animale rappresentava un mezzo di locomozione sicuro e veloce, utilizzabile con profitto anche in caso di guerra. Il più antico trattato di allevamento e addestramento dei cavalli è stato attribuito al capo delle scuderie reali dell’imperatore dei Mitanni, un popolo dell’altipiano iraniano. Già a quell’epoca le popolazioni Indie erano particolarmente abili nel cavalcare e non a caso i Romani non riuscirono mai a piegare i Parti, che in battaglia sviluppavano le proprie tattiche utilizzando quadrupedi addestrati. In Occidente, sino al Medioevo, la cavalleria non fu considerata un’arma tattica efficace e ficcante da utilizzare nel corso delle battaglie; il cavallo rimase inquadrato in un’ottica piuttosto limitata, costituendo magari un diversivo per pochi eletti oppure fonte di lucro per commercianti del settore. In seguito alle invasioni barbariche, il ruolo del cavallo assume un’importanza determinante. Gli stessi eserciti provvidero ad addestrare reparti di cavalleria per contrastare le avanzate di un nemico attrezzato e veloce. In Italia durante il Rinascimento sorsero scuole d’equitazione (la prima fu organizzata a Napoli da Pignatelli) che influenzarono lo sviluppo e la fortuna di questo nuovo tipo di disciplina in tutta Europa. L’equitazione di scuola garantiva l’apprendimento delle nozioni tecniche basilari necessarie per destreggiarsi in sella ad un cavallo. Poi, dopo essere entrati in possesso dei rudimenti principali, era possibile dedicarsi all’aspetto prettamente sportivo dell’equitazione (definito “naturale”), che comprendeva (e comprende tutt’oggi) competizioni ippiche, cacce, marce prolungate, percorsi accidentati.